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Psicologa Dello Sport - Mental Trainer

PSICOLOGA DELLO SPORT - MENTAL TRAINER

La psicologia dello sport

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La dottoressa Angela Proto è socia della Federazione Italiana Psicologi dello Sport e

Presidente Comitato Psicologi dello Sport Emilia Romagna

Registro Federale Psicologi
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Uniti si vince: la Federazione italiana psicologi dello sport si presenta. Malagò: “Indispensabili per sanare le ferite del Covid”

Nella prestigiosa cornice del Salone d'onore del CONI si è conclusa la conferenza stampa di presentazione della neonata Federazione Italiana Psicologi dello Sport, costituita lo scorso 17 febbraio per unificare le associazioni e i professionisti di settore, in modo da conferire un assetto organico alla materia e fornire un servizio più completo e migliore agli oltre venti milioni di italiani che a vari livelli si cimentano nell'attività sportiva.




La psicologia dello sport ed il mental training ha di fatto acquisito un suo spazio definito nel mondo dello sport e nello studio delle pratiche collettive, dei fenomeni e delle conseguenze che l’attività ludico-agonistica produce in bambini, ragazzi, adulti ed anziani.

Tuttavia è nel campo agonistico che lo Psicologo dello Sport trova la sua massima espressione, nel compito di valutare e assistere gli atleti attraverso un percorso che valorizza e rafforza le capacità degli atleti stessi. Individuando i punti di forza e le aree di miglioramento in termini di abilità mentali, lo psicologo dello sport verifica ed ottimizza le strategie mentali normalmente utilizzate dall’atleta per tradurle poi in obiettivi realistici.

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Ogni prestazione sportiva è il risultato di più elementi che si coniugano tra loro: preparazione fisica, tecnica, tattica e preparazione mentale di chi pratica sport. Per questo, lo psicologo dello sport seleziona gli elementi che caratterizzano il profilo psicologico dell’atleta, dagli obiettivi ai pensieri, alle emozioni, coniugandoli con le caratteristiche mentali dello sport specifico, e con i programmi di preparazione atletica e tecnica seguiti dall’atleta secondo un preciso calendario agonistico. Il programma di allenamento viene così strutturato sulla base delle reali caratteristiche del soggetto, avendo come punto di riferimento esclusivo le sue abilità mentali funzionali e la sua prestazione.

Lo sviluppo di queste abilità mentali richiede un impegno costante e sistematico, che varia in base al livello di motivazione e coinvolgimento dell’atleta, alle abilità mentali che già possiede, e alle caratteristiche specifiche della disciplina sportiva. Il programma di allenamento mentale massimizza così lo sviluppo di un insieme di abilità di base, tra loro interdipendenti, come ad esempio, l’immaginazione, l’autoregolazione dell’attivazione, la gestione di ansia e stress, il controllo dell’attenzione/concentrazione e la formulazione di obiettivi che permettono di definire delle mete significative per l’atleta e/o la sua squadra.

Lo psicologo dello sport, è dunque, un professionista che trova la sua massima espressione nel lavoro di equipe. Non solo collabora con tutte le figure coinvolte nelle società sportive, ma può formare allenatori, dirigenti e famiglie e chiarire, se richiesto, gli eventuali conflitti intra-personali o interpersonali che si possono scatenare tra gli atleti, e tra questi e gli operatori sportivi.

La dottoressa e Psicologa Angela Proto fa parte dell’associazione degli PSICOLOGI DELLO SPORT ITALIA.

Iniziative ed interventi della DR. Psicologa Proto Angela


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La preparazione mentale nello sport

La psicologia dello sport nasce negli anni 60 come una disciplina specifica all’interno delle scienze delle attività motorie e sportive. Gli aspetti mentali della prestazione, tuttavia, sono stati da sempre oggetto di costante attenzione da parte di atleti ed allenatori, prima ancora che la psicologia dello sport fosse riconosciuta ufficialmente.


La constatazione che in gara alcuni atleti sono in grado di ottenere risultati migliori rispetto ad altri dotati di maggior talento fisico suscitava, e suscita tuttora, interesse e sorpresa, come del resto la realizzazione di performance eccezionali.

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    Nel corso degli anni, è apparso evidente che le abilità mentali, similmente alle motorie, possono essere apprese, sviluppare e perfezionate; gli psicologi dello sport hanno messo a punto a tale scopo procedure e programmi di allenamento. Gli atleti hanno bisogno di capacità fisico-motorie e psichiche sicuramente superiori a quelle di persone non praticanti sport, per rispondere adeguatamente a richieste che, soprattutto ad alto livello, arrivano al limite delle potenzialità umane.


    Molti atleti ed allenatori riconoscono che gran parte del successo nello sport è dovuto a fattori psichici: più alto è il livello di abilità richiesto e maggiore importanza assumono gli aspetti mentali. Per rispondere alle richieste di un qualsiasi sport, l’atleta deve dunque sviluppare, accanto alle specifiche capacità motorie, particolari abilità mentali, come quelle necessarie per affrontare lo stress elevato della gara o controllare pensieri distraenti. È questa la ragione che spinse ad affermare che uno dei compiti primari della psicologia dello sport è aiutare atleti normali a diventare “psicologicamente superiori”.


    La psicologia dello sport è di per sé orientata alla crescita sana dell’individuo, all’espansione dei limiti personali, al superamento delle difficoltà, al miglioramento della comunicazione con gli altri e con il proprio corpo, al conseguimento di esperienze soddisfacenti. I servizi che la psicologia dello sport è ora in grado di fornire sono molteplici. A livello individuale, gli interventi mirano a migliore capacità di concentrazione, gestione dello stress, controllo dei pensieri, visualizzazione, rilassamento, autoregolazione, recupero dagli infortuni; a livello di gruppo a favorire comunicazione e coesione. L’intervento dello psicologo dello sport non è comunque centrato solo sugli atleti; può anche aiutare allenatori ed insegnanti a migliorare le proprie capacità didattiche, le interazioni sociali e la gestione di situazioni complesse.

Allenamento mentale nello sport

Negli ultimi anni le prestazioni degli atleti e le tecnologie impiegate nelle varie discipline sportive hanno conosciuto una forte evoluzione. Di pari passo è cresciuta anche l’attenzione di allenatori e atleti rispetto alla preparazione mentale da svolgere con uno psicologo dello sport inserito nel programma d’allenamento, che oggi non può essere più solo fisico, tattico e tecnico.

Quando si sente parlare degli aspetti psicologici e della preparazione mentale nello sport, il primo pensiero va alle persone con disagio, quindi, a situazioni che non interessano atleti in buona salute, che misurano la propria prestazione esclusivamente sulla preparazione fisica. Molti ascoltano con interesse, ma non tutti ne riconoscono la necessità.

In realtà un programma di preparazione mentale si può rivelare utile anche a tutti gli atleti per ottimizzare la preparazione e il rendimento sportivo. Motivazione, fiducia, concentrazione, emozioni ed “arousal”, sono tra i fattori psicologici più rilevanti che condizionano la performance atletica.

Di conseguenza sono stati elaborati vari programmi di Mental Training per insegnare all’atleta le abilità necessarie per esprimere al meglio le potenzialità personali. Conoscere le proprie reazioni prima di una gara, durante l’allenamento, quando l’allenatore incoraggia o critica, nei momenti decisivi di una partita, favorisce lo sviluppo di quei comportamenti che incrementano la prestazione e blocca quelli che l’ostacolano.

Questi programmi d’allenamento mentale aiutano, inoltre, a correggere errori legati a schemi motori consolidati in modo erroneo; a “snellire” i tempi di acquisizione dei gesti atletici; a gestire l’ansia e lo stress; a ridurre/prevenire gli infortuni e i tempi di riabilitazione.

Lo Psicologo sportivo, grazie alla sua specifica preparazione e competenza può inoltre intervenire, assieme alla équipe, sulla coesione della squadra. Infatti, individuare e potenziare le risorse di ogni atleta della squadra, lavorando sulle difficoltà che si possono riscontrare all’interno del gruppo in termini di comunicazione e relazione fra i membri e con l’allenatore, aiuta ad amalgamare in una squadra le diverse individualità.

La condizione ottimale emotiva

Il ruolo delle emozioni nella prestazione sportiva

Ogni atleta vive nella sua attività agonistica continui episodi che evidenziano il ruolo giocato dalla condizione emotiva nell’influenzare la qualità delle prestazioni svolte. Non sempre lo stato emotivo favorisce prestazioni ottimali; talvolta infatti, ci si può sentire troppo tesi e insicuri per essere convinti di sapere affrontare con successo la gara/la partita che sta per iniziare: “Se non mi fossi sentito così…probabilmente avrei fatto meglio”. Altre volte invece, si riconosce a se stessi che le emozioni provate hanno favorito la propria espressione agonistica: “Mi sentivo così in forma che sapevo che avrei raggiunto i miei obiettivi personali”. Questi pensieri stanno ad indicare che le emozioni che si provano prima di un evento sono in grado di favorire o di ostacolare le prestazioni seguenti. Come tutti gli altri essere umani, anche gli atleti di ogni livello sperimentano un ampio ventaglio di emozioni in allenamento e in gara, devono quindi imparare a riconoscerle (anche con l’ausilio di test/questionari psicologici specifici che aiutano in questo) e controllarne l’intensità prima e durante l’evento sportivo. L’intensità emotiva ha una componente fisica (per es. attività fisiologica) e una mentale (per es. preoccupazioni, ansia cognitiva) e se ambedue queste componenti sono percepite come troppo elevate o troppo basse la prestazione sarà scadente. Ad es., il respiro affannoso, sentire i muscoli contratti e pensieri dominati da una percezione d’incapacità in relazione alla prestazione, portano facilmente a prestazioni insoddisfacenti.

Nella maggioranza dei casi le prestazioni negative vengono fornite in concomitanza di no stato emozionale particolarmente intenso e ostacolante l’espressione delle competenze sportive. Le situazioni sportive in cui gli atleti sono poco attivati riguardano le prestazioni che considerano facili da affrontare o a cui non attribuiscono valore.

Un ulteriore aspetto da considerare è che una volta che gli atleti entrano in una condizione emotiva ottimale, questa deve essere mantenuta per la durata della competizione, gestendo gli episodi di gara, gli errori commessi, i momenti di difficoltà, così come le fasi molto positive. Mantenere questo stato emotivo costante non è facile e richiede un allenamento specifico, con sedute impegnative e con livelli di intensità elevati, in cui sperimentare come essere emotivamente costanti in ogni fase della prestazione. Emerge quindi, che chi vuole eccellere o voglia fare di meglio, deve sviluppare una forma di autodisciplina personale (ovvero essere consapevoli) che gli permetta di allenarsi e di gareggiare con una condizione emotiva stabile e da se stesso controllabile.

Esperienze

Intervento sulla coesione in una squadra di pallavolo maschile

Angela Proto

Psicologa, Psicoterapeuta

Riassunto

Osservare, individuare, ottimizzare le risorse di ogni elemento della squadra, nonché lavorare sulle dinamiche interpersonali, rendendo coscienti e partecipi gli atleti e l’allenatore rispetto al loro modo di interagire e comunicare, permette di migliorare la coesione di squadra e di conseguenza la performance individuale e collettiva. Questi obiettivi sono stati perseguiti in una squadra di pallavolo maschile di serie B2 attraverso la somministrazione di una serie di questionari e con l’ausilio di un’esperienza pratica. Tale lavoro costituisce il punto di partenza per un successivo intervento da programmare in modo sistematico nel tempo.


Parole chiave

Coesione di squadra, dinamiche interpersonali, clima di squadra


Abstract

If we are succeed in observing, locating and optimizing every team member’s resources, and in pointing out and working on interpersonal dynamics as well, so that it is possible for both athletes and coach to become aware and sharing of their own way of interacting and communicating, we’ll be able to improve team cohesion and therefore individual and group performance. In a second division men’s volleyball team we pursued these aims through a practical experience and giving them out a series of questionnaires. Such a work represents the starting point for a subsequent action to plan methodically in time.


Key words

Team cohesion; interpersonal dynamics; team climate


Motivazione, fiducia, concentrazione, emozioni ed arousal sono tra i fattori psicologici che maggiormente condizionano la performance degli atleti. Di conseguenza vengono elaborati vari programmi di mental training che agiscano in tal senso. Tuttavia, ancora prima di procedere con la pianificazione e la strutturazione di strategie di preparazione mentale è importante conoscere e lavorare sulla squadra/gruppo e sul rapporto atleti-allenatore. Questo perché nei giochi di squadra le dinamiche che avvengono tra i membri e la relazione che ognuno di essi instaura con l’allenatore sono fattori importanti per la prestazione. L’allenatore con il suo complesso ruolo contribuisce, infatti, in modo rilevante, alla determinazione del clima di squadra.

La letteratura evidenzia chiaramente come la coesione sia l’ingrediente che, nelle dinamiche di gruppo, permette di rendere squadra un insieme di diverse individualità (Donnelly, Carron e Chelledurai, 1978). Nello sport, come nelle altre attività, è ormai dimostrato che la prestazione di un gruppo è maggiore della somma dei rendimenti individuali dei singoli componenti. L’interazione dei membri, finalizzata ad obiettivi condivisi, è la caratteristica chiave che contraddistingue un collettivo. Negli sport di squadra, come, per esempio la pallavolo, i giocatori devono lavorare insieme per conseguire mete comuni e individuali. Le strutture, i processi e gli scopi di un gruppo sono influenzati dalle singole persone che lo compongono. Le motivazioni, i sentimenti e i comportamenti dei singoli membri risentono, a loro volta, dell’appartenenza al gruppo.

Alcune delle caratteristiche strutturali che più incidono sulla coesione in una squadra sportiva sono: la dimensione, la prossimità fisica, la permeabilità, la differenziazione dei ruoli, la suddivisione in sottogruppi e il flusso di informazioni (Plutchick, 1981). Rispetto alla coesione, le teorie che ritroviamo in letteratura sono molteplici; il modello di Carron (1988) è il più conosciuto. Questo modello, rappresentato nella figura 1, parte dalla premessa che la coesione nelle squadre sportive può essere relativa al compito e/o ai rapporti sociali all’interno del gruppo, e prevede quattro categorie di variabili ordinate gerarchicamente che contribuiscono al suo sviluppo: ambiente o situazione, caratteristiche personali, leadership, e squadra.

I fattori ambientali o situazionali sono riferiti alle pressioni normative a livello sociale, alla vicinanza fisica nello spogliatoio e sul campo, che favoriscono la comunicazione, l’amicizia, la coesione, e la dimensione del gruppo, che incide sullo sviluppo della coesione. I fattori individuali sono costituiti dalle caratteristiche che i membri del gruppo presentano. Viene sottolineata l’importanza sulla somiglianza delle caratteristiche socio-demografiche sulla soddisfazione e sulla motivazione all’affiliazione, alla partecipazione e al compito. I fattori di leadership sono inerenti alle abilità e modalità relazionali dell’allenatore e del leader (stile comunicativo, capacità di ascolto, partecipazione attività alle decisioni, ecc.). I fattori di squadra sono riferiti agli aspetti specifici che caratterizzano uno sport ed ai risultati conseguiti dalla squadra (successi ed insuccessi, grado di collaborazione sul compito, comunanza di obiettivi, comunicazione, stabilità di squadra, ecc.)


Esiste una correlazione circolare tra coesione, prestazione e soddisfazione, rispetto alla quale esistono due ipotesi diverse di casualità della relazione circolare:

  1. la coesione favorisce la prestazione e il successo; il successo a sua volta produce soddisfazione individuale; la soddisfazione, infine, aumenta la coesione (Martens e Peterson, 1971);
  2. la coesione contribuisce alla soddisfazione, la quale favorisce il successo nelle prestazioni da cui deriva, a sua volta, un aumento della coesione (Williams e Hacker, 1982)

Una squadra può presentare un basso livello di coesione sociale e comunque avere successo grazie ad un grado elevato di coesione sul compito. Un’elevata attrazione interpersonale, viceversa, pur creando un clima piacevole e disteso, non assicura il conseguimento di risultati sportivi.

Un adeguato livello di coesione, in particolare sul compito, tende a ripercuotersi vantaggiosamente sul gruppo e sull’individuo, in quanto facilita il conseguimento degli obiettivi, una maggiore condivisione delle finalità, meno abbandoni, più alta partecipazione. La coesione influisce sull’individuo, poiché favorisce la consapevolezza e l’accettazione del ruolo, finalizza la prestazione, aumenta la soddisfazione. La coesione, in particolare quella sociale, garantisce inoltre un clima emozionale positivo che agevola la comunicazione.

INTERVENTO CON UNA SQUADRA DI PALLAVOLO

A seguito di una richiesta di un allenatore di pallavolo è stato impostato un lavoro di presentazione teorica agli atleti sulla coesione, un raccolta di dati tramite questionari ed un intervento esperienziale. L’obiettivo era di rendere coscienti gli atleti delle interazioni di squadra, individuare e potenziare le risorse di ogni elemento della squadra e lavorare anche sulle difficoltà che si possono riscontrare all’interno del gruppo e nella comunicazione e relazione con l’allenatore.

Poiché esistevano dei chiari segnali di problemi di coesione a livello di squadra, ancora prima di lavorare sulle abilità mentali, è stato necessario osservare e ottimizzare le relazioni interpersonali che consentono di ricavare soddisfazione dall’esperienza sportiva e di migliorare la performance individuale e collettiva.

Obiettivi dell’intervento

In un incontro preliminare con l’allenatore è stata decisa la suddivisione della squadra in due gruppi, sulla base delle caratteristiche di personalità, al fine di fare emergere le dinamiche più interessanti in modo omogeneo. Le problematiche evidenziate dall’allenatore e dallo psicologo, che potevano essere oggetto di conflitto e motivo di poca coesione, riguardavano:

  • la contrapposizione di diverse leadership;
  • la percezione soggettiva e oggettiva da parte di un atleta, in particolare, che si sentiva escluso dal gruppo, che creava conflitti nella squadra in quanto mal tollerato dalla maggior parte dei membri;
  • l’intolleranza agli errori da parti di alcuni atleti, che reagivano agli sbagli dei compagni con nervosismo, reazioni verbali e linguaggio non verbale di disapprovazione;
  • le individualità di gioco e la mancanza di affiatamento;
  • l’intolleranza alla critica da parte dei compagni;
  • le reazioni di rabbia e attacco nei confronti dell’arbitraggio da parte di un atleta, che regolarmente veniva sanzionato con il cartellino giallo;
  • l’assenza di un atleta “cardine”, come persona e come ruolo;
  • la debolezza della coesione di squadra.

Premesso che la squadra si trovava agli ultimi posti della classifica di serie B2, e poiché l’allenatore notava dei problemi relazionali all’interno della squadra, in occasione di un ritiro abbiamo deciso di improntare un lavoro che facesse emergere le dinamiche di gruppo e il livello di coesione esistente, per osservare meglio e soprattutto per rendere consapevoli gli atleti delle relazioni esistenti nella squadra. L’obiettivo, in particolare, era di rendere consapevoli gli atleti del basso livello di unità di squadra e dei problemi esistenti ma mai discussi in gruppo, nonostante la disponibilità e i diversi tentativi effettuati dall’allenatore.

Si è ritenuto necessario sondare anche la relazione con l’allenatore in modo da avere parametri di riferimento per potere eventualmente lavorare anche con l’allenatore sul suo stile relazionale, anche in previsione di un intervento a lungo termine. L’obiettivo condiviso con l’allenatore era quello di andare a individuare le dinamiche esistenti all’interno della squadra e, in secondo luogo, rilevare la percezione della squadra rispetto allo stile dell’allenatore, mettendola in relazione con la percezione soggettiva dell’allenatore stesso e con un allenatore ritenuto ideale.

Il lavoro comprendeva una presentazione teorica, la somministrazione di test, per evidenziare le dinamiche e la percezione dell’allenatore da parte degli atleti e, successivamente, un’esperienza outdoor, consistente nel gioco della “ragnatela” che evidenziasse le dinamiche di gruppo.

METODO

Partecipanti

Hanno partecipato al ritiro 15 atleti maschi di alto livello, appartenenti ad una squadra san marinese di pallavolo che disputava il campionato di serie B2. Di questi 15 atleti, tre disputavano il campionato di prima divisione e potevano essere scelti per le olimpiadi e la nazionale. I giocatori avevano un’età compresa fra i 23 e i 40 anni.

Procedura

L’intervento è stato strutturato in due giornate. Ciascun intervento durava due ore. Il gruppo di 15 persone è stato suddiviso in due sottogruppi, in modo da permettere contemporaneamente all’allenatore di portare avanti il suo programma tecnico in concomitanza con l’intervento psicologico.

Nella prima parte dell’intervento sono state presentate dal punto di vista teorico le abilità mentali e le caratteristiche di un’efficace coesione. Successivamente, agli atleti sono stati somministrati tre questionari in forma anonima. Nel primo questionario si chiedeva di esprimere una valutazione sullo stile del proprio allenatore e sull’allenatore ideale. Si tratta della Leadership Scale for Sports (LSS) (Chelladurai, 1978) che prevede tre diverse versioni: una da somministrare all’allenatore affinché descriva il proprio comportamento, una agli atleti affinché descrivano come percepiscono il comportamento dell’allenatore, è un’altra sempre diretta agli atleti affinché esprimano come preferirebbero che si comportasse l’allenatore. Tale strumento è composto da 40 item, suddivisi in cinque gruppi che rappresentano cinque dimensioni relative al comportamento dell’allenatore: allenamento e istruzioni, stili decisionale autocratico, stile decisionale democratico, supporto sociale, e feedback positivo. Alcuni esempi degli item sono: “Si assicura che gli atleti lavorino secondo le loro capacità”, “Pianifica indipendentemente dagli altri”, “Gratifica un atleta di fronte agli altri per una buona prestazione”. Precedentemente lo stesso questionario era stato somministrato all’allenatore per poi confrontare i risultati della percezione che l’allenatore aveva di sé stesso con la percezione che gli atleti hanno edll’allenatore.

Il secondo strumento somministrato alla squadra è il “Group Environment Questionnaire” (GEQ) (Widmeyer, Brawley e Carron, 1985, tradotto e adattato da Andreaggi, Robazza e Bortoli, 2000). Gli autori hanno considerato la coesione come costrutto multidimensionale comprendente la coesione sul compito, riferita all’attività del gruppo in relazione al conseguimento degli obiettivi, e la coesione sociale, interente lo sviluppo e il mantenimento di relazioni interpersonali soddisfacenti. Sono inoltre identificati altri due aspetti: l’integrazione del gruppo, ovvero la percezione del collettivo come globalità da parte dell’individuo, e l’attrazione individuale verso il gruppo, ossia l’interesse che l’individuo ha verso il collettivo. L’integrazione e l’attrazione individuale verso il gruppo possono riguardare aspetti inerenti il compito o il sociale. Gli item del GEQ sono 18 e le sottoscale sono quattro:

  • attrazione individuale verso il gruppo sul sociale (es. “Non mi piace prendere parte alle attività sociali di questa squadra”);
  • attrazione individuale verso il gruppo sul compito (es. “Non sono soddisfatto della quantità di tempo che gioco”);
  • integrazione di gruppo sul compito (es. “La nostra squadra è unita nel cercare di raggiungere i suoi obiettivi di prestazione”);
  • integrazione di gruppo sul sociale (es. “I componenti della nostra squadra raramente si ritrovano insieme”).

Il terzo questionario, infine, è uno strumento finalizzato a studiare il clima all’interno della squadra:“Il Clima di Squadra” (QSC) (Gruère e Stern, 1981). Il questionario è composto da 16 item relativi ai comportamenti della squadra verso il singolo giocatore e agli atleti si chiedeva di valutare la frequenza di questi comportamenti nei loro confronti. Per ogni item sono previste sei possibilità di scelta: mai, molto raramente, a volte, di solito, di frequente, sistematicamente. Gli atleti dovevano esprimere un giudizio sulla loro squadra e attraverso le risposte si sono ottenute delle misure su quattro dimensioni relative al clima di squadra: l’autenticità (es. “…mi sostiene in modo autentico”), la comprensione (es. “...percepisce bene il tipo di persona che sono”), la stima (es. “…ha interesse per me”), l’accettazione (es. “…mi accetta come sono”).


La seconda parte dell’intervento prevedeva una situazione esperienziale, denominata “la ragnatela”, in cui fare emergere in modo visibile i problemi e le risorse della squadra. La ragnatela è un gioco in cui tutti i membri della squadra dovevano attraversare una struttura costruita a forma di ragnatela. La struttura era costituita da corde elastiche di 4-5 mm di diametro, che venivano intrecciate attorno a due pali posti ad una distanza di circa 3 metri, in modo da formare una tela di ragno caratterizzata da buchi di diverse dimensioni. L’obiettivo del gioco era quello di attraversare la ragnatela, attraverso questi buchi, portando l’intero gruppo dal lato opposto a quello di partenza, in 20 minuti. Per eseguire il compito, gli atleti potevano aiutare il compagno che stava attraversando il foro, rimanendo nel rispettivo lato del campo in cui si trovavano, ma nessuno poteva toccare la ragnatela o la sua struttura di sostegno, altrimenti il buco più grande veniva chiuso. Se un componente della squadra, nel tentativo di attraversare un foro, toccava la ragnatela o la sua struttura di sostegno, doveva provare ad attraversare nuovamente la ragnatela da un buco diverso. Quando un partecipante attraversava con successo un foro questo doveva essere chiuso e non poteva più essere utilizzato dagli altri. Queste indicazioni erano scritte su un foglio appoggiato ad un ripiano per potere rilevare chi assumeva la leadership rispetto al compito. Questo tipo di esperienza ha permesso in seguito di riflettere e confrontare ciò che è accaduto nel gioco e ciò che accade di solito nel gioco di squadra durante gli allenamenti e le partite.


I dati dei questionari sono stati messi in correlazione con quanto emerso con l’esperienza della “ragnatela”. È seguita per ciascun gruppo una discussione nella quale le domande che venivano poste e sulle quali sono state improntate le riflessioni erano del tipo: “cosa ha funzionato dei vostri comportamenti?”; “cosa non ha funzionato dei vostri comportamenti?”; “come possiamo riportare tutto questo alla vostra squadra?”


A questo ha fatto seguito una riflessione da parte dell’intera squadra su quanto emerso. Purtroppo il tempo a disposizione per quest’ultima parte è stato limitato rispetto alle esigenze che emergevano. È infatti emersa la necessità di riprendere il progetto anche in tempi successivi.

RISULTATI

Test

Rispetto al test LSS, i risultati hanno evidenziato da parte degli atleti:

  • il desiderio di essere coinvolti nel pianificare e nel discutere le strategie, la tattica di gioco;
  • la richiesta di un maggiore intervento da parte dell’allenatore per correggere gli errori e fornire informazioni per il miglioramento tecnico;
  • la richiesta di confronto con l’allenatore, anche rispetto alle proprie capacità;
  • il desiderio di coinvolgimento da parte dell’allenatore anche al di fuori del rapporto sportivo;
  • il desiderio di essere approvati e sostenuti dall’allenatore.

L’allenatore è apparso molto simile al modello ideale nella percezione degli atleti, per cui è emersa una buona relazione tra squadra-allenatore, che potrebbe essere ulteriormente potenziata lavorando sulla maggiore autonomia decisionale degli atleti.

Rispetto al GEQ, i punteggi più bassi riguardavano l’integrazione del gruppo ovvero la percezione del collettivo come globalità da parte dell’individuo (vedi Fig. 2). Per quanto riguarda il QSC, le scale nelle quali si sono ottenuti risultati inferiori sono la scala dell’autenticità e della comprensione (vedi Fig.3).


Esperienza pratica

L’esperienza pratica della ragnatela durava 20 minuti per ciascuno dei due gruppi. Entrambi i gruppi sono riusciti a portare a termine il compito: il primo gruppo ha terminato al limite del tempo e con due errori; il secondo gruppo ha terminato il compito nella metà del tempo e con un errore. All’esperienza sono seguite delle domande, proposte ad entrambi i gruppi separatamente, al fine di attivare una discussione di squadra. Il primo quesito era: “Cosa ha funzionato dei vostri comportamenti?”. Il primo gruppo ha risposto che ciò che aveva funzionato era stato: il gioco di squadra, le scelte tattiche, le valutazioni fisiche, la coordinazione, la soddisfazione del risultato, la cooperazione e il rispetto delle posizioni. Il secondo gruppo, invece, individuava come comportamenti funzionali: l’organizzazione, la comunicazione, la tattica, la disponibilità di ognuno, la fiducia, la cooperazione, la coesione, la soddisfazione del risultato e il controllo degli obiettivi.

Per quanto riguarda il secondo quesito, si chiedeva al gruppo: “Cosa non ha funzionato dei vostri comportamenti?”. Il primo gruppo osservava che l’intraprendenza individuale e l’istintività avevano ostacolato il raggiungimento del compito. Il secondo gruppo, invece, individuava il ritardo nella comprensione del compito come un fattore che aveva rallentato la riuscita del compito nella prima fase dell’esperienza.

Sia nel primo che nel secondo gruppo, c’è stata collaborazione, anche se con tempi diversi. Nel primo gruppo le diverse leadership esistenti hanno rallentato i tempi e le decisioni, in seguito anche al bisogno di confronto su idee coesistenti. I membri si sono attivati tutti ma in modo autonomo; le figure di leader emergenti esplicitavano le loro idee in una comunicazione che, nella fase iniziale, non era ancora condivisione, riflessione, e confronto di gruppo, era piuttosto un esplicitare il proprio modo di agire rispetto al compito. Nel tempo gli atleti si sono resi conto che era necessario cooperare, mettere assieme le valutazioni e fare una scelta comune per raggiungere lo scopo.

Nel secondo gruppo, invece, c’è stata una situazione di confusione e quasi di deresponsabilizzazione, a cui ha fatto seguito la presa di posizione da parte del capitano e poi dell’alzatore. C’è stato quindi un confronto attivo tra queste figure e gli altri giocatori. Ciò che emerso da entrambe i gruppi è che per riuscire nel compito e nel gioco di squadra è necessario che ci sia: collaborazione, comprensione, ascolto, fiducia, confronto, organizzazione tecnica-tattica, rispetto dei ruoli, sostegno, coordinamento, incoraggiamento, messa in discussione di ognuno, accettazione delle critiche e cooperazione.

Un risultato importante è stata la messa in discussione di diversi giocatori rispetto al proprio atteggiamento. Per esempio, un atleta che si trovava in conflitto con la squadra e che non si sentiva accettato ha riconosciuto il suo atteggiamento, si è scusato della sua incapacità di mantenimento del controllo e ha espresso il desiderio di cercare di migliorare il suo atteggiamento. A ciò ha fatto seguito una riflessione collettiva rispetto alla mancanza di cooperazione, collaborazione e sostegno reciproco.

CONCLUSIONI

L’obiettivo del ritiro è stato raggiunto grazie anche alla figura dell’allenatore che ha aiutato gli atleti nel prendere coscienza delle dinamiche emerse nell’esperienza pratica. Dopo avere fatto riflettere, valutare, osservare e discutere gli atleti è infatti seguito un momento di confronto con l’allenatore che li ha aiutati a comprendere l’esperienza con quanto accade nel gioco in campo. Gli atleti si sono resi conto delle dinamiche esistenti e della scarsa coesione in campo che non favorisce la prestazione. L’esperienza ha fatto emergere alcuni problemi che sono stati poi discussi ed elaborati. L’esperienza pratica è stata particolarmente apprezzata dagli atleti in quanto ha consentito di comprendere nel concreto le dinamiche ed i problemi esistenti a livello di squadra.


I questionari hanno confermato il basso livello di integrazione del gruppo sul sociale e sul compito. Il QSC appare inoltre un basso livello di percezione di autenticità e di comprensione da parte degli atleti rispetto alla squadra. Gli atleti si sentivano coinvolti individualmente rispetto al compito e a livello sociale. Infatti, a livello di relazioni al di fuori dell’attività sportiva non vi erano particolari problemi, ma rispetto alla percezione di coesione e di unione di squadra mancava notevolmente la capacità di muoversi e ragionare come gruppo, anche se vi erano le potenzialità per farlo.


Fra i problemi emersi vi erano: la mancanza di fiducia verso alcuni giocatori, il senso di incomprensione, la messa in discussione personale, l’individualità che caratterizzava il loro modo di giocare, le diverse leadership esistenti, l’inesistenza del sostegno reciproco. Questa fase di lavoro iniziale è stata riconosciuta come rilevante da parte della squadra e dell’allenatore e di preparazione in vista di un intervento strutturato e protratto nel tempo.

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